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bagaglio (anche
"zavaglio"): sostantivo che può indicare indifferentemente
qualsiasi oggetto (o persona) con accezione negativa. Definisce sinteticamente
la condizione di attrezzo inutile il cui unico attributo è
quello di possedere un peso senza, nonostante tutto, svolgere correttamente
la propria funzione. "Cos'è quel bagaglio lì?"
domanderà con aria di superiorità il giovine felsineo
additando il vecchio cellulare dell'amico dalle dimensioni di un cabina
telefonica.
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batedo: letteralmente
equivalente alla locuzione "una gran quantità di".
Il termine, pur nella sua sinteticità estrema, esprime con
disarmante successo l'immagine onomatopeica del tamburellare incessante
di qualcosa che si abbatte senza concedere tregua alcuna. "Ho
preso un batedo d'acqua!" esclamerà correttamente l'ignaro
cicloturista appena rincasato fradicio dopo l'ennesima bizza metereologica
di queste mezze stagioni ritornate prepotentemente di moda.
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bazza: intrallazzo,
conoscenza tattica volta all'ingresso in disco senza sottostare a
code di ore o allo sconto all'atto dell'acquisto del settimo aperitivo
consecutivo al Rosarosae.
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biasanòt:
(termine dialettale) letteralmente "colui che mastica la notte"
dalla radice etimologica "biaser" ossia masticare. Epiteto
utilizzato per additare chi agisce con scarsa cognizione del tempo
prolungando ogni azione ben oltre i limiti del necessario per il puro
gusto del cazzeggio ad oltranza. Identifica il prode tiratardi che,
non pago dei cinque mohito già trangugiati ordina, sul suono
della serranda del bar che si chiude, l'ultimo inevitabile mohito
scatenando l'incontenibile gioja del gestore.
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bòfilo:
attrezzo di scarso valore e funzionalità, inadeguato al compito
per cui era stato originariamente creato o semplicemente ormai obsoleto
e fuori moda. Viene tipicamente additato con tale epìteto il
motorino vecchio e scassato con cui il baldo giovane si presenta alla
punta con la sbarba in ritardo di una buona mezz'ora denunciando non
meglio precisati "problemi elettrici". A nulla varranno
gli sforzi dello stolido nel convincere l'irata fanciulla che tali
problemi hanno fermato anche la Ferrari in plurime gare, la minaccia,
pronunciata allontanandosi ad ampie falcate, sarà inevitabilmente:
"finché non sfromboli nel rusco quel bòfilo a me
non mi vedi più!".
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bona lè:
basta. Locuzione sintetica ma esaustiva per sancire il termine di
qualsiasi attività o discussione. "bona lè, riga!
non ne voglio mezza!" affermerà perentoria la fanciulla-bene
all'incipiente quarantasettesimo tentativo di "intomellamento"
ad opera del maldestro maraglio di turno. Vedi anche: "riga".
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bulbo: capelli.
Il bolognese veramente giovane affermerà al suo amico scapigliato
dalla corrente: "con questo vento hai un bulbo che non si affronta!"
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càrtola:
tipo giusto, molto fico, di un'altra (vedi). Se si "ha la càrtola"
significa che si possiedono tutte le caratteristiche necessarie per
fare colpo sull'universo femminile. Come comprensibile tale attributo
non è collegabile in alcun modo al PEx.
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cassa: o meglio
"essere in cassa". Definisce lo stato comatoso conseguente
ad abuso di sostanze alcooliche e depone a grande sfavore del soggetto
in quanto assolutamente incapace di intendere e di volere. Es.: "mi
sono preso una cassa assurda!" esclamerà il morigerato
fanciullo la giornata susseguente ad una bravata con gli amicici.
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ciocàta:
rimprovero, cazziatone. Più correttamente "cioccàta",
in cui la doppia "c" viene immolata senza troppi rimorsi
sull'altare della corretta pronuncia felsinea. "Ho preso una
ciocàta pazzesca" asserirà correttamente lo studente
ripreso e ridicolizzato di fronte alla platea di compagni di corso
dal prof che lo ha "sgamato" mentre copiava la soluzione
del problema di Analisi 2 dalla fotocopia ridotta e filigranata del
"Matricioni - Forti"
- cioccapiatti:
colui che dice e non fa, tirapacchi, ma anche chi non riesce ad agire
senza portarsi dietro una ineluttabile scia di disastrose conseguenze.
Nelle diverse accezioni si definirà correttamente "cioccapiatti"
sia chi promette la presenza sicura al ristorante il sabato sera mentre
da mesi ha già in tasca il biglietto aereo per Las Vegas (ovviamente
per la stessa data!), sia l'inquieta fanciulla che, non appena costituiita
la nuova famiglia, si metterà prontamente all'opera per farsi
sbattere dal più precario ed inopportuno degli apprendisti netturbini
di terza categoria compromettendo la strada appena intrapresa.
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dare la molla:
mollare, scaricare. Utilizzato principalmente nel senso di liberarsi
della persona con cui si era soliti accompagnarsi. Alla domanda "dove
l'hai messa la morosa?" il giovane bolognese che vorrà
distinguersi per eleganza e modernità risponderà convenientemente
"cioé, le ho dato la molla, mi aveva troppo zagnato i
maroni!" (vedi "zagnare")
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della serie...:
incipit per eccellenza che prelude ad una categoria di cui l'evento
che viene commentato si ritiene faccia parte. Fondamentale la "s"
sibilante e la "e" molto aperta affinché la locuzione
sia effettivamente giovane ed efficace.
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essere di un'altra
(o di prima, o di primissima): sottointeso "categoria".
Locuzione utilizzata per esprimere entusiasmo e felicità per
qualcosa. L'oggetto dell'espressione viene immediatamente posto al
di sopra di ogni confronto con oggetti simili ma banalmente e tristemente
più scadenti (di ultima).
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fanga: scarpa.
Tendenzialmente schivo e scarsamente esibizionista il giovane felsineo
apostroferà il suo interlocutore appoggiando un lieve: "ho
comprato delle fanghe in centro che sono di un'altra" .
- fare fuga: assentarsi
dalle lezioni scolastiche all'insaputa dei genitori. Uno degli sport
preferiti dallo studente italico viene così definito in area
bolognese, corollario inevitabile della carriera scolastica di ogni
"cinno" che si rispetti. Tale attività viene proseguita
in numerosi casi durante il periodo universitario per espandersi, in
casi di vero professionismo, all'ambito lavorativo.
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fare il proprio
numero (non...): locuzione di rimprovero che colpisce la giovane mente
bolognese fin dalla più tenera età e che lo accompagna
nel corso della sua esistenza pronunciata ora dall'amico di turno
ora dalla dolce consorte la quale, prontamente avvedutasi dell'imminente,
ricorrente fragorosa digestione del compagno nel corso del pranzo
di nozze della sorella, lo apostroferà così: "Non
farai mica di nuovo il tuo numero?!"
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fattanza: stato
di intorpidimento cerebrale provocato da sostanze alcoliche o stupefacenti
(vedi anche "cassa"). Il termine, di chiara derivazione
gergale, esprime compiutamente la situazione fisico-psicologica in
cui versa il PEx dopo le ore 19. L'eroe infatti, vessato durante l'attività
lavorativa da "zagnatori" (cfr.) professionisti, troverà
adeguato rifugio in uno stato di estasi mistica del tutto simile al
nirvana di orientale memoria. Tale status verrà raggiunto attraverso
complesse liturgie pagane che spaziano dall'aperitivo a base di gin-tonic
alla spina della birra del Santa Clara collegata attraverso canalizzazione
diretta al cavo oro-faringeo.
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ferro: sostantivo
generale di accezione positiva che denota apprezzamento di un qualsivoglia
veicolo di pregevole fattura. Il virgulto felsineo esprimerà
correttamente la sua approvazione nei confronti della nuova Porsche
del compagno di liceo esclamando: "Socci che ferro, sei sanza
macchina!" (cfr.)
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gaggia: mento
di notevoli dimensioni e sproporzionato rispetto al resto del viso.
Tra gli esempi più famosi citiamo Celìne Dion e Michael
Shumacher.
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gebbo (o geppo):
scarso, maldestro, personaggio di scarso spessore. Aggettivo dispregiativo
utilizzato per additare persona sfigata di cui si nutre scarsa considerazione.
L'espressione può essere rafforzata ulteriormente da specificazioni
peggiorative come nei seguenti esempi: "gebbo di ultima",
"gebbo da fuoco".
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gnocca: letteralmente
identifica l'organo sessuale femminile, per traslato, come altri sostantivi
regionali di pari significato, viene utilizzato per esprimere un velato
apprezzamento nei confronti di un fanciulla. Nel caso in cui la designata
dalla natura presenti genrose ed ostentate fattezze, la risposta ad
un commento negativo sul contenuto della sua scatola cranica sarà
invariabilmente. "Lascia pur stare, lei è una gran gnocca!
bona lè".
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iazza: sostantivo
femminile singolare, indica sfortuna, sfiga. "Portare iazza"
denota una caratteristica di curiosa concomitanza tra la presenza
di chicchessia ed un evento funesto. "Loro là hanno portato
una iazza pazzesca!" esclama correttamente PEH quando realizza
una preoccupante coincidenza tra l'arrivo dei fratelli PES in Nuova
Zelanda e l'eliminazione a tavolino di Lunarossa.
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impalugare: allappare,
invischiare. Tipico verbo da usare durante gare di Orzoro, pangrattato
a cucchiaiate senza bere. Il giovane bolognese che tronfio estrarrà
dal suo zainetto il mitico "tortino porretta" o il non meno
temibile "buondì classico" (privo dell'effetto lubrificante
della marmellata o della copertura di cioccolato) per la merenda si
troverà irrimediabilmente impalugato e quindi bisognoso di
ettolitri di liquido.
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ingubbiarsi:
dormire "avere un gran gubbio". Logica conseguanza degli
sforzi fisici ed intellettuali del giovane bolognese: dopo ore passate
a valutare attentamente l'intappo per la serata al Ruvido e il movimento
ripetuto di sollevamento del bicchiere di gin-tonic dal banco del
bar alle labbra il meritato riposo giunge accomagnato da una frase
strascicata a mezza voce che palesa la mitezza dei programmi di fine
serata: "oh, regaz, sono sfatto, vado a ingubbiarmi..."
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intappo: abbigliamento
particolare, look. Utilizzato in modo particolarmente efficace per
riferirsi a travestimenti o agghindature finalizzate alla partecipazione
a feste a tema (intappo anni '70). L'arrivo di un amico dotato di
zampa di elefante e stivaletto in pelle con cerniera laterale verrà
convenientemente salutato con un efficacissimo: "meerda, che
intappo! sei troppo di un'altra!"
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intortare (da
cui il sostantivo "intorto"): circuire, ammansire con discorsi
possibilmente lunghi e fastidiosi a fini persuasivi. La pratica dell'intorto
è tipicamente attuata dal giovane di tendenza che, sfoggiando
camicia "di primissima" ed il dodicesimo calice di frizzantino
al dehor del Rosarosae, dà prova di prorompente logorrea alla
fanciulla trampolata di turno al fine palese di ottenere favori di
natura sessuale.
- ismìto
(anche "invornito"): rimbecillito, rintronato. Definisce senza
possibilità di replica lo stato psico-cerebrale dell'additato
collocandolo nella fascia di quoziente intelletivo compresa tra l'opossum
migratore delle paludi e l'ornitorinco muschiato. Si colloca in quella
ricchissima area lessicale della terminologia dedicata all'insulto del
prossimo, attività sempre di notevole successo sotto le due torri
(vedi: cioccapiatti, gebbo, lesso, maraglio, etc.).
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lesso: tipo scarsamente
sveglio. "Luilì è un lesso!" esclamerà
la sagace fanciulla bolognese additando il giovane di passaggio il
quale, la sera precedente, alla visione della suddetta in soli autoreggenti
e sandali con tacco vertiginoso, non ha compreso le malcelate intenzioni
sessuali della focosa compagna.
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maraglio: aggettivo
sostantivato utilizzato per identificare ragazzi/e abbastanza grezzi
che si mettono in mostra in modo vistoso e cafone. Il giovane della
Bologna bene affermerà "che gran maraglio!" indicando
platealmente il possessore della Renault 5 turbo con ruote iperlarghe
e adesivi sul genere "turbo", "Rabbit", "O'neill".
- masagno: macigno,
oggetto (anche figurato) di grande massa e volume, ponderoso. L'educato
giovane del Pilastro esclamerà "ho un masagno in pancia"
al termine della cena dall'evidente contenuto calorico concessa per
la prima volta a casa dei genitori della fidanzatina suscitando l'euforia
della madre spignattante. Per traslato definisce anche un tomo dalla
notevole presenza scenica: "cioé, devo studiare un masagno
acsé!" racconterà il neo-patentando agli amici per
enfatizzare la pesantezza del nuovo codice della strada accompagnando
l'affermazione con un plateale gesto delle mani parallele poste alla
distanza ottimistica di circa un metro.
-
non c'è
pezza: locuzione ermetica che affonda le radici ai tempi di vacche
magre in cui le pezze potevano sancire la salvezza di un capo di abbigliamento
ormai logoro. Quando "non c'è pezza" significa che
non vi è modo di recuperare lo strappo e, per traslato, sottolinea
l'ineluttabilità di un evento senza che si possa fare niente
per evitarlo o per negarlo. "Devo mettermi a dieta, non c'è
pezza!" esclamerà non senza una nota di tristezza il giovane
imbolsito da vagonate di tigelle e crescentine.
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non si affronta:
locuzione atta ad indicare situazioni o immagini al limite della gestibilità
o comunque sgradevoli a qualunque dei cinque sensi (vedi esempio precedente)
-
non volerne (più)
mezza: essere saturo di una cosa al punto di non volerne più
sentire parlare. Appare evidente il superiore impatto emozionale della
locuzione felsinea al confronto del ben più prolisso ed inefficace
corrispondente italiano. Vedi anche "scendere la catena"
-
oi: esprime assenso,
conferma, da ragione a chi parla in modo sintetico ma esaustivo in
una cacofonia vocalica che non lascia spazio a repliche. La brevità
comparabile all'usuale "sì" non tragga in inganno:
il monosillabo felsineo racchiude in sé sfumature di conclamata
e superiore approvazione sconosciute al termine italiota nonché
al foneticamente simile ma lontano francese "oui" (pronuncia:
"uì").
- orello: ano.
Rispetto al termine freddamente scientifico si avverte un tono decisamente
più discorsivo e gradevole che ne permette un uso pret-a-porter
senza scadere nell'ineducazione di terminologie ben più cupe
ed impegnative. "C'hai un orello così" affermerà
con una punta di malcelata invidia il perfetto bolognese rivolgendosi
al compagno di sbronze baciato dalla fortuna di un 12 al totocalcio
che gli ha permesso di intascare fino a 34 Euro salvo ritorsioni fiscali.
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paglia: sigaretta.
Tipica l'espressione del galantuomo bolognese il quale, dopo avere
sorseggiato il quinto "mohito", si rivolge elegantemente
al tavolo accanto al proprio biascicando: "oh, raga, avete una
paglia?"
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panno: coperta
(del letto). Viene chiamato a gran voce dal galantuomo bolognese al
sopraggiungere dei primi freddi apostrofando così la signora:
"Oh, Cesira, tira fuori il panno!"
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pezza: sostantivo
derivato dal verbo "impezzare" ossia usare la dialettica
per chiudere all'angolo un altro individuo contro la sua volontà,
il quale, dopo alcune orette sbotterà "cioé, mi
stai tirando una pezza allucinante! cioé, non ti si affronta:
basta". Vedi anche "tomella"
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pilla (fresca):
soldi, denaro. Sostantivo generalmente utilizzato per sottolineare
le capacità economiche famigliari che permettono al vitellone
di sfilare di fronte al "Calice" sull'ultima spider in compagnia
della gnocca di turno "merda che ferro! luilì ha della
gran pilla!"
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plumone: tirchio,
taccagno, persona la cui tendenza all'economia trascende il sano risparmio
dettato dalla congenita limitata disponibilità economica del
PEx per sfociare nell'avarizia propriamente detta. L'aggettivo, dal
verbo "plumare", trova il suo etimo nella "pluma"
ossia i piccoli batuffoli di lana che magicamente si materializzano
nel fondo delle tasche, palese indice della carenza di alcunché
e, nella fattispecie, di denaro (cfr. anche: "della creazione
della materia: dalla pluma al lanoide nell'ombelico" Federico
Rasponi Forty, ed. Ringhio, Castrone sul Minchio 1976)
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polleggiarsi:
riposarsi, stare calmi. Viene utilizzata spesso la forma imperativa
del verbo in tono intimidatorio per raffreddare i bollori del maraglio
di turno che spinge per non fare la coda all'ingresso della disco:
"Oh, polleggiati subito!"
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pugnàtt:
pugnetta, letteralmente l'atto della masturbazione maschile. Per traslato
assume spesso la funzione di esplicitare il proprio disappunto per
un alcunché di noioso e malvoluto che si è costretti
ad eseguire. Tipica l'espressione di PEH al richiamo dell'ennesima
quanto infruttuosa riunione stile: "pugnàtt...".
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riga: basta,
finito. La citazione della linea che determina la fine dell'elenco
degli addendi nella somma del verdurajo definisce per traslato la
fine di ogni attività. Si fa seguire spesso e volentieri a
"bona lè" (cfr.)
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rusco: pattume,
spazzatura. "Cacciala nel rusco!" si sentirà dire
il tapino giunto al passo della Raticosa con mezz'oretta di ritardo
rispetto agli altri amici dotati di moto ben più moderne e
prestazionali.
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sanza: senza.
E' l'espressione sarcastica che dipinge la valutazione dell'oggetto
ostentato dal prossimo, tipico topos letterario che trova nell'affermazione
del contrario il metodo per enfatizzare la situazione. "sanza
màchina" si dirà all'indirizzo del direttore generale
che lascia l'azienda sulla sua Porsche Carrera triturbo come "sanza
gnòca" alla vista di Capirossi accompagnato dalla sua
dolce metà.
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sbarbina: ragazza
piccola di età, non oltre i 12/13 anni, usato meno frequentemente
anche riferito ai ragazzi. "Quando ero sbarbino..."
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sborone: esibizionista,
personaggio che si fa notare rumorosamente, privo del benché
minimo senso di misura, tatto ed eleganza. La diffusione del malcostume
nazional-popolare di stampo catodico tipico di questo periodo storico
ci offre continui esempi di "sboroni" che spaziano dagli
ostentatori di status simbol (auto, moto, abiti griffati, accessoristica
elettronica di vario genere) accomunati dalla caratteristica di avere
elevati prezzi senza possederne corrispondenti contenuti, ai più
classici autocelebratori di prestazioni sportive, sessuali nonché
spacciatori di falsissime amicizie altolocate.
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scendere la catena:
tipica espressione che comunica il disarmo finale nei confronti di
qualsivoglia evento al punto da non "volerne più mezza".
Le due espressioni si rafforzano spesso in un confronto sintattico
che porta il giovane ingegnere alla settima ora di scritto dell'esame
di stato ad affermare: "bona lì, riga! mi è scesa
la catena: non ne voglio più mezza!". Lo stesso verrà
ritrovato poche ore dopo completamente "in cassa" di fronte
al pub irlandese...
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sfrombolare:
gettare via, lanciare. Verbo che ben descrive gesti plateali e definitivi
volti all'eliminazione fisica di qualsiasi oggetto divenuto inutile
o comunque sgradito. "Soccia che stereo!" si dirà
appena saggiata la potenza sonora dell'ultimissimo ritrovato acustico
situato in camera dell'amico "...e che ne hai fatto di quello
vecchio?" "l'ho sfrombolato giù dalla finestra!"
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sghetto (andare
di): espressione volta all'identificazione di contesti fortunosi che
hanno consentito il concretizzarsi di eventi altrimenti improbabili.
Tipico l'incipit dello studente universitario nullafacente e vitajolo
che, all'ingresso dell'aula dove si tiene l'esame di "scienza
delle costruzioni", con la fiata ancora turbata dall'alcool ingerito
la notte precedente esclama: "oh raga, se passo questa mi va
fatta di sghetto!"
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spalare: eccedere,
esagerare, pisciare fuori dal vaso. "oh vecchio, a sto giro hai
spalato "si dirà correttamente al commensale che approfitta
della pinguità del portafoglio altrui ingurgitando la quinta
aragosta a sbafo.
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spanizzo: persona
che si fa notare, che non si tira indietro, che osa in maniera evidente
ma comunque degna di ammirazione. L'immagine, per quanto possa sembrare
somigliante ad una prima lettura superficiale, differisce sensibilmente
da quella dello "sborone" (cfr.) in quanto non comprende
l'accezione negativa caratteristica di quest'ultimo.
- susanello: corpo
solido di grosse proporzioni con una dimensione visibilmente maggiore
delle altre due, oggetto oblungo, detto anche "sistola" nel
versante meriodionale dell'appennino tosco-emiliano.Utilizzato sia per
identificare senza possibilità di errore sia il personaggio alto
ed allampanato di cui non si conosce il nome sia il prodotto di una
estrusione defecatoria particolarmente fruttuosa. "ho deposto un
susanello da un chilo!" (il tipico "braccio di scimmia")
comunicherà elegantemente il giovane alla propria fidanzata desiderosa
di conoscere gli sviluppi intestinali della dolce metà.
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tiro: è
l'azione di schiacciare il bottone che apre il portone del palazzo.
Quando il gentiluomo bolognese si troverà ai piedi del condominio
dell'amata suonerà il campanello pronunciando la frase: "Ciao,
sono io, mi dai il tiro?"
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tomella: si riferisce
all'atto di "intomellare" ossia di riversare fiumi di parole
sul prossimo cercando di convincerlo delle cose più disparate.
"Cioé, mi hai fatto una tomella assurda, mollami subito!"
dirà elegantemente il PEx alla pretendente fanciulla affascinata
da tanto potere e denaro. Vedi anche "pezza".
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usta: ingegno,
buon senso, avere delle belle pensate. "Luilè ha dell'usta"
si tramanda che abbia affermato con lungimiranza molti anni or sono
un vecchio oste bolognese assistendo agli schizzi che andava scarabocchiando
tal Leonardo da Vinci sulla carta della crescenta mentre tracannava
bicchieri di sangiovese a nastro.
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zagnare: rompere,
infastidire. Forma verbale tipicamente utilizzata nella più
ampia locuzione "zagnare i maroni" dove l'azione si eleva
ad una forma catartica ed universale che colpisce inevitabilmente
le parti più intime e sensibili della corporalità maschile,
ultimo ed ineluttabile bersaglio delle persone più insopportabili
che la vita ci para dinanzi.
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zora: peripatetica,
prostituta, mignotta, gran troione (anche: "bosa" o "busona").
Sostantivo femminile attribuibile non tanto, banalmente, alle passeggiatrici
dei viali bolognesi, quanto piuttosto all'indirizzo della passante
intappata in modo alquanto volgare e vistoso.
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